Lui ha le mani lunghe, quasi da non credere che siano le sue. Devono essere le mani di un antenato, ho pensato la prima volta che le ho viste uscire dalle tasche. Un trisnonno greco, forse. Armeno. Anche andaluso, si, ma io che ne sapevo delle mani degli andalusi. Ho pensato: greche. Lui non puoi dire quanti anni ha. A volte, quando gli pulsano le vene nelle tempie, sembra vecchissimo e vorresti che ti prendesse sulle ginocchia e ti spiegasse la vita com’è. Altre volte, quando ride con i denti bianchi, vorresti prenderlo in braccio e dirgli: vieni, bambino, non avere paura.
Ti tengo, vieni. Lui non ha paura del dolore. Né del suo né di quello degli altri. Lo conosce benissimo: lo accoglie con molto amore, come un amico. Lo tratta con confidenza e con rispetto. Gli dà sempre del tu, ma con la lettera maiuscola. Non ha nessun imbarazzo per gli umori del corpo. Questo è sorprendente, in un uomo. Il sangue, le lacrime, il sudore, l’urina, le feci. Se si sporca pulisce, se si taglia guarisce. Piange con frequenza, suda con facilità. Tutto ciò che ha conosciuto nell’istante in cui è venuto al mondo è nel suo mondo, naturalmente, per sempre.
Lui in effetti non è proprio un uomo. C’è una donna nascosta dentro di lui. Non dice mai di no, dice tutt’al più: è possibile. È il suo modo per indicare una difficoltà. Non è facile. Non è detto. Non era previsto. È davvero complicato. Dunque: è possibile. La prima cosa che mi ha regalato sono state le chiavi di casa sua. Non ci conoscevamo quasi.
Al mazzo aveva attaccato un portachiavi a forma di balena. Una volta, molti mesi prima, in un breve inciso di una mail gli avevo raccontato di sognare spesso le balene. Ma in un inciso, proprio. Tre parole. Ha una memoria prodigiosa. Ricorda tutto. Una melodia sentita una volta, una conversazione al tavolo vicino, pagine di libri, aneddoti remoti. Nomi di persone incontrate di sfuggita.
Sguardi, intenzioni, sequenze, colori degli abiti, pensieri non espressi, non finiti di pensare. È come se non avesse fondo la sua memoria. Come se contenesse già da prima ogni cosa e la dovesse solo ritrovare. Si immerge, la prende, ritorna. È un pescatore di coralli. Mi distrae, mi porta fuori, mi fa ridere moltissimo.
Mi fa anche piangere. Mi lascia piangere quando arriva il pianto: sta lì in silenzio, fermo, tranquillo. Poi mi passa, mi prende la mano e mi dice: ora andiamo. Lui corre, va in bicicletta, cammina nei boschi, nuota per ore. Ha il fiato di un animale selvatico. In ogni caso fuma e beve vino rosso. La volta che l’ho visto arrabbiato con suo figlio, veramente furioso, non gli ha detto: sei un cretino. Gli ha detto: estas muy equivocado.
Ti stai sbagliando molto. Non “sei tu l’errore” ma “c’è un errore in quello che fai”. È diverso. A volte sparisce, poi torna. Non ti mette mai alla prova, non sei mai sotto esame. Di conseguenza: non lo metti mai alla prova. Non serve. È quel che è. C’è sempre. Anche quando manca. Sono stata innamorata molte volte nella vita. Ho conosciuto il desiderio, la passione, il bisogno, la tenerezza, la compassione, la condivisione, la fratellanza, la consonanza, la gelosia e lo struggimento, la disperazione e la gioia tranquilla dei giorni.
Ho pensato di aver amato molto e che non avrei amato più. Mi sbagliavo. L’amore, cosa sia, mi pare di capirlo solo adesso.
C. De Gregorio
Mi sa che fuori è primavera